ANITA BIANCHETTI architetto

 
     

INTERVISTA


DDN - ABITARE LA CASA

Intervista all'achitetto
Anita Bianchetti
testo di Cristina Fiorentini

Conosco l'architetto Anita Bianchetti da qualche anno, ho fotografato diversi interni progettati da lei ed ho avuto modo di notare che i suoi clienti spesso le sono diventati amici o hanno comunque mantenuto un rapporto cordiale, sereno e fiducioso nei suoi confronti. Mi incuriosisce quindi l'aspetto umano che sembra prevalere sulle scelte formali estetizzanti di molti suoi colleghi. In sostanza, nelle sue case, anche diverse tra loro, si nota prima di tutto l'armonia e la sensazione di benessere, cerco di capire come si arriva a questo risultato.

Come avviene il rapporto architetto/committente?

Sicuramente c'è un rapporto psicologico molto forte tra l'architetto ed il committente. Fare la casa alle persone è un modo di aiutarle a guardare dentro se stesse, per questo é fondamentale che all'inizio si stabilisca un rapporto di fiducia reciproca, solo così una persona può mettere a nudo la propria anima.

Perché deve mettere a nudo la propria anima?

La casa rispecchia e rivela sempre, sia che uno lo voglia oppure no, l’essenza delle persone. Perché ci sia una rispondenza tra le aspettative ed il risultato finale il committente deve sentirsi a proprio agio con l’architetto e libero di esprimersi.
Uno dei compiti dell’architetto è quello di aiutare le persone a tirar fuori i desideri nascosti. Le aspettative sulla casa riguardano un'entità non solo materiale, la casa viene vista idealmente come un modo di esprimere se stessi ma anche di rappresentarsi agli altri.
Il lato bello del mio lavoro è che ho ancora molto da prendere oltre che da dare, mi incuriosisce sempre, è uno stimolo cercare e sperimentare nuove soluzioni, tecnologie, materiali e, tornando all'approccio psicologico, ad analizzare qualcosa degli altri ma di conseguenza anche di me stessa, è una componente che ancora mi attrae, dove non viene dato per scontato quasi niente. E' un mettersi in gioco ogni volta. E' un lavoro faticoso da un punto di vista fisico e mentale, progettare le case e anche farsele progettare perché vuol dire affrontare tutta una serie di problemi che magari erano stati accantonati. Quando si realizza o si ristruttura la casa molti nodi vengono al pettine, succede di rileggere i rapporti con il marito, la moglie, i figli, con chi ti vive vicino. Non sempre le problematiche vengono fuori nell'immediato, anzi è una cosa che affiora con il tempo. C'è una parte di lavoro preparatoria alla progettazione vera e propria che è di conoscenza reciproca, anche se ci si conosce già, e mi è infatti capitato di fare delle abitazioni per amici o persone che frequentavo da tempo, ma il livello di conoscenza e soprattutto di complicità che si instaura è diverso quando si affronta il tema casa.
Le scelte distributive, le soluzioni spaziali adottate, l’aggregare i locali in un modo piuttosto che in un altro,i colori delle pareti e degli arredi influiranno parecchio nella vita delle persone, nei loro umori, nei loro rapporti reciproci e per questo sono scelte importanti che vanno meditate insieme, architetto e committente.
Analizziamo a lungo le implicazioni conseguenti a scelte formali ed estetiche diverse. L’equilibrio del tutto e l’armonia nascono anche da questo tipo di condivisione nella fase di progetto.

Qual'è allora il limite dell'intervento? Qual'è il vero compito di un architetto d'interni?

E' come se una persona si dovesse fare un autoritratto, il compito dell'architetto è quello di aiutarlo in questo intento. Personalmente non mi piace sovrappormi al committente, o peggio prevaricarlo, cerco di rispettare la sua natura.
Sono imbarazzata se una persona viene da me e non ha nessuna idea di come vuole la sua casa, quando mi è successo ho cercato di scavare, di scoprire quali erano i desideri nascosti, in effetti sono poi sempre emersi. A volte sono persone che chiedono alla casa di essere comoda, funzionale ma anche tradizionale, oppure sanno gia' che è una casa di passaggio, non si tratta della casa della loro vita e quindi non hanno troppe aspettative.
Non tutti vogliono affrontare il rapporto con l'architetto e non credo sia solo un problema economico, chi si rivolge ad un architetto d'interni fa già una scelta precisa, sono persone per le quali la casa ha un aspetto rilevante nella loro vita, sono disposti ad investire di piu' rispetto ad altri, sia dal punto di vista economico che psicologico.

La mia domanda e' provocatoria ma non succede proprio il contrario?
Le persone che si rivolgono ad un architetto non desiderano in realtà delegare a qualcun’ altro di occuparsi della loro casa?
Non ti sono mai capitati clienti che ti hanno chiesto un progetto "chiavi in mano"?

Sicuramente esiste anche questa casistica ma chi si rivolge a me , di solito, ha gia' visto dei lavori che ho fatto e gli sono piaciuti,ma soprattutto ha parlato con le persone che abitano quegli spazi.
Non mi capita facilmente di essere contattata solo in base all’aspetto estetico delle case, ma più spesso per l’atmosfera creata dal fatto che chi ci abita è sereno e si trova a proprio agio.
Certo, si può lavorare a vari livelli, a volte mi viene richiesto un apporto prevalentemente tecnico, ci sono casi in cui le persone hanno idee molto chiare su quello che vogliono, su come lo vogliono, anche sull'aspetto estetico. Certo se ritengo che qualcosa non è corretta o se mi viene proposta una soluzione che non condivido correggo il tiro o propongo soluzioni alternative, nel rispetto comunque del gusto dell'altro.

Il committente in genere cosa chiede all'architetto?

Può chiedere molte cose diverse dipende, dalle sue aspettative, dal suo budget, alcuni arrivano da me con ritagli presi dalle riviste di arredamento, magari di dieci situazioni scombinate tra loro ma che hanno sollecitato la loro fantasia, sono tracce interessanti che vanno incanalate ed approfondite. Può succedere che in un'immagine siano stati colpiti da una atmosfera o da un piccolo dettaglio ma a volte è proprio quello il punto di partenza che stimola la mia indagine.

Da quali basi si parte per instaurare il rapporto con il committente?

Parliamo, parliamo, parliamo.
Cerco di vedere anche la casa in cui vivono, è un punto di partenza, poi li aiuto a cercare di capire quali sono le priorità. Li incoraggio a scrivere su un foglio tutte le cose che vengono loro in mente riguardo ad esigenze, desideri, anche sogni, perché no, a volte qualcuno si riesce realizzare! Una pagina scritta è un momento di riflessione significativa per chiarirsi le idee.
Quindi comincio a progettare a ruota libera proponendo soluzioni diverse. Attraverso più proposte e molte idee si restringe il campo e si arriva ad un risultato, non si parte mai da un progetto solo, se ne fanno due, tre, dieci prima di approdare a quello definitivo.
Da soluzioni addirittura in contrasto tra loro si chiarisce la direzione da prendere. Nuove esigenze emergono con il procedere del progetto: tutte le fasi vengono discusse, approfondite e verificate strada facendo. E’ sicuramente un esempio di architettura partecipata anche se su piccola scala.
Ci sono clienti che inizialmente sono perfetti sconosciuti, con i quali devo instaurare un progressivo rapporto di fiducia e stima reciproca; il committente si deve sentire completamente libero di esprimere le sue aspettative.
E' un rapporto che si instaura lentamente, passiamo molte ore e molti mesi insieme, deve essere un rapporto rilassante, almeno per quello che riguarda la mia personale esperienza. Può anche succedere che il rapporto non si instauri ed il progetto si interrompe inevitabilmente. E' molto significativa la fase iniziale di progetto preliminare dove si giocano le carte per indagare un certo feeling reciproco. Ai giorni nostri si quantifica il tempo in termini di efficienza e queste fasi preliminari possono sembrare inutili, io ritengo fondamentale innanzi tutto capire dove si vuole arrivare e non si deve avere fretta per ottenere questo. Il rischio sarebbe quello di arrivare in fondo e scoprire di avere una casa diversa da quella che si era desiderata. Il complimento migliore che ricevo è quando mi sento dire da clienti di vecchissima data che si sentono ancora bene nella loro casa.

Qual'è la parte più bella del tuo lavoro?

Indubbiamente la fase della progettazione perché è la fase più creativa, è il momento in cui ho già elaborato le richieste del committente e mi sento libera nelle soluzioni da proporre, immagino già le persone muoversi dentro gli spazi, mi piace per questo conoscere chi abiterà la casa.
Inoltre mi piace viaggiare e spesso viaggiando, mi capita di avere delle intuizioni su un progetto, nascono associazioni di idee che mi portano poi a fare un determinato percorso progettuale e questo è un modo piacevole di lavorare.

Cosa succede dopo la progettazione?

Il rapporto che si è instaurato all'inizio va avanti nel tempo e va mantenuto, non si deve incrinare la fiducia reciproca, da parte mia cerco di essere il più chiara possibile, se ci sono problemi vanno affrontati di volta in volta e se qualcosa cambia nella vita delle persone devo tenerne conto per correggere il tiro.
Non bisogna dimenticare che si tratta di un lavoro anche molto tecnico, che richiede qualificazione ed esperienza, il committente si deve affidare con fiducia nelle mani di un regista che deve dirigere operazioni complesse e delicate.
Nel lavoro convivono due aspetti del mio carattere: da una parte sono creativa, mi lascio guidare dalle emozioni, dall’altra sono razionale e quindi un tecnico estremamente scrupoloso.
Anche nel rapporto con le maestranze e la gestione del cantiere si instaurano rapporti interpersonali che possono essere interessanti, l'architetto deve essere una persona eclettica perche' i campi di competenza sono diversi.

A cantiere ultimato, la casa viene arredata. Quanto puo' o deve intervenire il progettista?

Già in fase di progettazione mi informo circa l'arredamento che intendono utilizzare i miei committenti, siano mobili in loro possesso o qualcosa che intendono aggiungere. E' interessante saperlo per questioni pratiche ma anche di gusto, di stile da amalgamare. Possono tranquillamente convivere anche arredi eclettici, apparentemente in contrasto tra loro. In uno spazio ben progettato si possono ospitare situazioni diverse, che possono cambiare nel tempo, che si adattano agli eventi della vita.
Un progetto è una situazione aperta, non ha il rigore di una entità finita in sé, deve sempre essere possibile modificare, adattare, migliorare, limare, approfondire.
All’inizio capita che le persone siano curiose e mi chiedano come sarà la loro casa, rispondo che non lo so, prenderà forma insieme a loro, man mano che si realizza, le scelte avverranno naturalmente. E’ facile che mi succeda di diventare amica dei miei committenti, di tornare nelle loro case negli anni, di assistere al loro sviluppo nel tempo. Le case non sono mai finite.

Ritieni che ci sia una differenza di impostazione progettuale tra architetto-uomo e architetto-donna?

Esistono atteggiamenti atavici da cui non si può prescindere,la donna è interno, è madre, è maggiormente concentrata sul privato. Per questo pare che le donne-architetto siano più attente agli spazi interni, ma in genere ognuno mette nel progetto, la propria essenza, la personalità le proprie esperienze.
Consideriamo che l'ambiente condiziona i nostri movimenti quindi è fondamentale ottenere l'armonia attraverso una giusta proporzione tra gli spazi. Cerco sempre, ad esempio, di destinare ad ogni individuo un suo spazio privato, anche se si tratta di una famiglia numerosa. Cerco di suggerire sempre il concetto di 'rifugio' dove potersi isolare.
Quali sono le buone qualità di un architetto?
E’ difficile rispondere: essere principalmente se stesso e vivere questa professione con passione. L’Architetto, in qualsiasi scala operi, lascia dei segni che influiscono sugli esseri umani. Bisogna essere consapevole di questo e non averne paura, anzi viverlo come uno stimolo.

architetto@anitabianchetti.it
 
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